Ascoltare la pioggia

Seduta nel mio camper. Piove da un po’, sto in ascolto del rumore della pioggia che cade sul tetto, ora più lieve, come tanti passetti di un animale invisibile, ora più scrosciante, come un coro di tante voci tutte insieme, ora più sfumata in un crescendo o calando, insieme al suono dell’acqua che scorre via. Sto in ascolto, respirando. A casa, in appartamento, non si sente così bene il suono della pioggia.
Tanti anni fa, mi trovavo insieme al mio maestro Thich Nhat Hanh e a tante altre persone in un ritiro, in un capannone di legno. Da diversi giorni pioveva e tutti eravamo un po’ di malumore. Anche quella mattina pioveva forte e attendevamo il maestro che ci avrebbe offerto un insegnamento. Mi ricordo che Thich Nhat Hanh entrò con passo lento, si mise a sedere e poi, sorridendo, ci disse: “Breathing in, I hear the sound of the rain. Breathing out, I enjoy the rain” – Inspirando, ascolto il suono della pioggia. Espirando, mi godo la pioggia. All’istante si fece silenzio, e si sentiva soltanto il suono della pioggia – potrei dire la musica della pioggia – sul tetto di legno. Scrosciante, modulata, più o meno intensa. Ascoltavo, respirando. Dopo qualche minuto, sorridevamo tutti.
Ecco, da allora e con l’aiuto della pratica, ho imparato ad ascoltare la pioggia. A volte è una pioggia esteriore, come ora, facile da ascoltare, soprattutto se sono al riparo. A volte, quando mi do il permesso di fare spazio e stare in ascolto, è una pioggia interiore, che cade sommessa, piena di tenerezza, o che scroscia intensa, densa di un dolore antico, intrisa di lacrime. Quella pioggia è meno facile da ascoltare: ha bisogno che io sappia costruire dentro di me, nel respiro e nel corpo, una veranda riparata, protetta, dove posso lasciare che scorra, e ascoltarne il suono. La “veranda dell’ascoltare la pioggia” che è fatta di silenzio.
Ho scoperto che il suono della pioggia, se lo ascolto davvero, nasce da quel silenzio, proprio come la musica nasce dalle pause – anche quelle più impercettibili – tra le note, che la rendono possibile e reale, nelle sue infinite variazioni, toni, crescendo, calando. Come il silenzio del mare dove è più fondo, al di sotto del rumore delle onde, più o meno forti. Come il silenzio che a volte arriva, appena mi do spazio e attenzione, appena lascio che il rumore delle cose di ogni giorno, delle parole e dei pensieri che scorre incessante in me cali un po’. Quel silenzio più grande di me, che contiene e accoglie la mia piccola vita, dove sento che anche io posso accogliere tutti i fili del dolore e della gioia, così strettamente intrecciati da sembrarmi un unico filo. Il dolore richiama la gioia, e la illumina di una luce più intensa. La gioia richiama il dolore, e dolcemente lo riempie e lo consola.
Consolare: questa parola che non ho mai usato e invece da un po’ di tempo mi accompagna. Ho visto che deriva da “cum” – con e “solari”, da “sollus” – intero. Ridiventare intera: vuol dire accogliere tutto, non escludere nulla.
È questa la chiave della gioia di questo mio tempo. Così diversa da quella che nominavo prima, che ero abituata a conoscere – o che credevo di conoscere. Questa è la gioia che arriva sommessa, senza fare rumore, come un uccellino che si affaccia pian piano quando si sente non visto, quando c’è più calma, che resta un po’, e poi se ne va di nuovo. Discreta, avvolgente, semplice: una gioia che non dice “purché”, non dice “se”, non dice “sempre”. Dice solo: “Sì, vieni”.
È fatta di respiro, di silenzio, di spazio. Così delicata che anche solo il passaggio di un pensiero può farla impallidire. Così salda che non se ne va mai davvero. Così paziente che resta in attesa del mio respiro, del mio silenzio, del mio sguardo alla più piccola delle cose per tornare a trovarmi. Ascoltando la pioggia, ho trovato la gioia. O forse, lei ha trovato me.
Interessere Mindfulness in Azione

Interessere Mindfulness in Azione partecipa e sostiene questa iniziativa di formazione promossa da CMF – Counseling Mediazione Familiare. A giugno un workshop di due giorni sulla Mindfulness in Rel-Azione