Come stare con sé, come stare con gli altri

da | Mag 30, 2020 | BLOG

Quali i percorsi di benessere in questa fase? Momento propizio per dire delle cose.

di Giulia Ulivi

Oggi è il 16 maggio, metà di un mese iniziato in sordina come mai nella mia vita e alle soglie di una nuova fase di riapertura, in tanti sensi. Noi, l’Italia, siamo stati i primi a essere investiti dalla chiusura oramai diverse settimane fa e oggi mi sento di poter condividere qualche riflessione, alla luce del mio lavoro come psicologa e come istruttrice Mindfulness. Ho avuto la fortuna di avere più tempo per leggere articoli di colleghi, sociologi, filosofi, pensatori e amici: qua riporto qualcosa e lo faccio all’interno della cornice della psicologia della Salute.

E’ bene ripeterlo, la salute non è solo assenza di malattia (WHO, 2000), è molto di più, è ‘’il confronto con le risorse di cambiamento e con l’urgenza di fuoriuscire dai vincoli che riducono i gradi di libertà (Guerra, 2003), è “la capacità di adattamento e di autogestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive” (Machteld Huber et al. 2011), “il margine di tolleranza di fronte all’infedeltà dell’ambiente” (Canguilhem, 1943). Queste definizioni riportano l’accento sulla soggettività e sono ancora più preziose alla luce delle mancanze vissute in questi mesi.

Personalmente, non sono favorevole all’immagine di una psicologa che risponde solo alle emergenze emotive, rafforzando tra l’altro lo stigma un po’ magico associato al nostro lavoro, e mi sono interrogata su quali potessero essere i fattori protettivi per ognuno di noi. Lo smart working ha permesso a tanti di stare a casa, riorganizzarci un po’ ed è una fortuna comparata con le storie di tanti italiani che non ce la fanno, ma questo stare sempre online necessita di energia, può stancare molto e creare dissonanza tra presenza fisica e mentale. Sono necessari nuovi confini, siamo in periodo di ridefinizione (articolo su ‘’zoom fatigue’’) e la psicologia è chiamata ad esserci. Non tutti sono disposti a ‘’spostare’’ online la propria terapia e i propri pazienti e ne avrebbero diverse ragioni. A mio avviso non è da escludere: la mia disponibilità cerco di darla attraverso la pratica di mindfulness perché ritengo sia possibile ‘’praticare’’ anche a distanza e che possa aiutare molto per fronteggiare le novità e i ‘’vecchi fantasmi’’.

Molti lo sanno già, mindfulness significa consapevolezza, presenza mentale: è una consapevolezza fatta di attenzione volontaria verso ciò che proviamo e sentiamo e include un atteggiamento di curiosità e non giudizio (per approfondimento Kabat-Zin, ; Gunaratana, 1995; Thich Nhat Hanh, 1992). E’ una facoltà che tutti noi abbiamo e che può essere fortunatamente allenata. Lo spirito della consapevolezza risiede soprattutto nell’attitudine che abbiamo verso noi stessi nel riconoscere ogni momento per quello che è. Sono tanti i benefici e più di trent’anni di studi li confermano. La mindfulness fa bene e questo è un buon punto di partenza nella condizione che viviamo oggi. Soprattutto qui. Qualche giorno fa leggevo sotto il consiglio di un amico, un articolo per il CNOP (vedi sitografia) che riportava come oltre il 60% degli italiani ritenga di aver bisogno di un sostegno psicologico per affrontare questa nuova fase (nella ricerca precedente dell’anno passato si parla di meno del 40%). Non è detto che questa opinione si accompagni a una vera consapevolezza di aiuto, ci vorrà del tempo per saperlo. Sono sempre di più quelli che vogliono che il sistema pubblico assicuri assistenza psicologica, soprattutto negli ospedali, nei servizi sociali, nei centri diurni per costruire una nuova normalità.

D’altro canto, in una prima fase di ‘’assenza’’ ci è stato chiesto di restare a casa, anche i più

resistenti hanno capito che era il dono più grande da fare. Un   interessante articolo

dell’Internazionale raccontava di quanto sia stato importante, in quei giorni, ricostruire una

routine e contare su veri e propri riti: il pranzo, la pulizia domestica, la videochiamata (per una volta ci facevamo davvero compagnia) non erano più solo elementi in mezzo a giornate impegnate. Adesso però le cose sono cambiate e bisogna stare ancora più attenti alle parole: ho letto (Gazzetta filosofica online) che sarebbe più giusto parlare di distanziamento fisico non sociale. Infatti, la prosocialità va preservata e l’interazione con l’altro tutelata (pensiamo come in psicoterapia si lavora assieme anche su questo!). L’ENPAP sta gestendo insieme con la Sapienza un ‘’barometro della salute mentale’’ (sito): basandosi sugli elementi emersi dalle relazioni di sostegno psicologico e psicoterapeutico, lo strumento restituirà a cadenze regolari un resoconto dell’impatto della crisi sulle persone, con riferimento alle dimensioni affettive, all’atteggiamento nei confronti dell’esperienza in corso e alla visione del prossimo futuro…per orientare le Istituzioni e la Politica sulla creazione di contesti “sempre più adattati alle persone che li abitano”. Sarebbe promettente! E gli psicologi ‘’devono evitare di farsi inquadrare in una realtà dove possono essere, volontariamente o involontariamente, complici di un’organizzazione che rimanda alla docilità sociale’’: va ripensata la presenza, va pensata una nuova vicinanza (parole dall’intervista di Caffè con Igea a Braibanti). E se è vero che ‘’mal comune, mezzo gaudio’’ tutti viviamo una rielaborazione che porta con sé delle possibilità. A questo proposito, mi viene naturale rammentare come la mindfulness si soffermi molto sui modi di stare con sé e con gli altri e che, prima di una terapia o in concomitanza con la stessa, posso essere un valido aiuto. Sono solo pochi anni che studio i processi di regolazione emotiva, cambio spesso punto di vista, la mia Scuola mi insegna ad accogliere il dubbio. E’ successo anche per la mindfulness, non nego che possa essere dannosa se usata per richiamare il ‘’vuoto mentale’’, per ‘’sistemare’’ qualcuno o per sforzarsi di essere acritici o calmi: sarebbe come tappare una pentola che bolle. Credo però che la pratica di meditazione possa favorire un atteggiamento adatto al lavoro su di perché è proprio vero che a volte siamo i nostri peggiori giudici. E con questo, non parlo solo di psicologia positiva, ma di fattori protettivi.

Venendo a noi e ai nostri giorni: cosa può aggiungere la mindfulness a noi psicologi? Cosa può dare a noi come pazienti o semplicemente come persone? Per sintesi, farò riferimento alla triade di pensieri, emozioni e sensazioni.

Quando si parla di pensieri, si può dire che ognuno di noi ha un caratteristico flusso di pensieri, queste concezioni automatiche possono dirci tanto sul nostro modo di essere e di stare al mondo. Come ci insegna la psicologia cognitiva noi siamo continuamente impegnati nella costruzione del significato degli eventi e siamo profondamente condizionati dal nostro ‘’dialogo interiore’’. Chi vive da solo, come me, sa bene di cosa parlo. Se questo dialogo batte sempre sugli stessi punti e ci disturba può crearsi disagio e sofferenza. La ‘’soluzione’’ non è ‘’svuotare’’ la mente, ma vedere

meglio cosa c’è che riempie: anche Jung parlava del vuoto, ma come di una possibilità di guardarsi davvero   contro   uno   specchio    che    riporta    sempre    la    stessa    immagine    di    noi.    Lo stesso accade per le emozioni. Le emozioni che chiamiamo negative (paura, rabbia tra le tante) sono importanti per ragioni evolutive, siamo abituati a riconoscerle più facilmente perché ci possono salvare la vita. Le emozioni positive sappiamo essere altrettanto importanti, ma non sempre le riconosciamo allo stesso modo. Cercare di riconoscere tutte le emozioni, ‘’dove’’ le sentiamo e se sono legate a dei pensieri è uno dei processi legati alla regolazione emotiva e ci permettono di mantenere un equilibrio. Quando siamo ‘’sotto stress’’, ossia quando eventi che consideriamo stressanti si ripetono, la nostra reazione fisiologica non si normalizza, rimaniamo per esempio ‘’agitati’’ o ‘’giù di tono’’ e non sappiamo bene il perché. In un percorso consapevole su di è importante spiegare e comprendere insieme (una forma di psico-educazione?) come

funziona il nostro corpo perché certamente ‘’lui’’ ci dirà molto di noi e ci mostrerà le nostre reazioni automatiche allo stress.

In ultimo, ma non per importanza, le sensazioni non saranno più buone/cattive, ma osservabili come stati che si succedono uno all’altro: alcune sensazioni vanno e vengono, altre rimangono per più tempo, alcune più deboli, altre più forti, ma in un continuo variare, superando il dualismo bene/male.

Il fondatore della mia Scuola di specializzazione in psicologia della Salute, Mario Bertini, è particolarmente curioso dell’uso che si fa delle parole per raccontarsi (Bertini, 2012) e tutti gli psicologi sanno che sono il nucleo della narrazione di sé. Nessun percorso di benessere può chiedere di spostare o lasciare ‘’altrove’’ una sensazione o un’emozione, semmai cerca di comprendere i nostri meccanismi di difesa. Detto in altri termini, è possibile con l’aiuto di un professionista scegliere di soffermarci sul processo e meno sul contenuto: ‘’cosa hai provato e osservato?’’ E non solo ‘’com’è andata?’’ o ancora “E’ difficile essere presenti come vorremmo in questo momento. Che effetto ti fa stare qui con  me sapendo che  entrambi stiamo facendo del  nostro meglio?”.  In questa fase, tutti ma proprio tutti viviamo una sperimentazione, una fase di transitorietà. Come psicologi viviamo in modo del tutto eccezionale le stesse emozioni e preoccupazioni dei pazienti. Molti percorsi si sono spostati online per ovviare al distanziamento fisico e non tutti sono d’accordo sulla tenuta di questi tentativi. Io ho deciso di provarci, come psicologa e anche per il mio percorso di psicoterapia. Ovviamente mi sono domandata cosa fare e se non stessi rispondendo solo a un’esigenza mia di esserci, di avere dei pazienti in più per non sentire la paura di un isolamento professionale, ma credo che essere presente sia una bella risposta, ricordare che si può essere presenti anche in situazioni di emergenza, di stallo, di alto stress, di pandemia o di lutto per capirci (a questo proposito consiglio un bel articolo dell’Ordine degli psicologi del Veneto).

Ciò che è importante è essere presenti al proprio bisogno e a quello dell’Altro, fare una buona analisi della domanda (Carli, Paniccia, 2003) e tenere presente che quella che viviamo è una situazione unica in cui viviamo in parallelo tutti le stesse novità e perplessità. Uno dei rischi che corriamo quando siamo più vulnerabili come terapeuti è di rispondere eccessivamente o di minimizzare di fronte alle richieste e bisogni dei pazienti. Potremmo offrire ai pazienti un modeling per contattare le loro emozioni: potrebbe essere un’esperienza molto confortante e rassicurante, quella di sentire che ognuno di noi sta facendo il meglio che può, questo senza negare le conseguenze della solitudine, il tema della morte e della deprivazione della libertà (riflessioni in un articolo di Kathy Steele). Le istanze esistenziali esistono sempre sullo sfondo delle nostre storie, ma ora sono decisamente bene in vista e uno dei modi per prendersene cura è condividere la propria esperienza interna, mentalizzarla, renderci liberi di farne parola e non bloccarla o incapsularla (embedded suffering). La sfida qui è cercare di restare profondamente ancorati al presente, anche quando il presente è difficile. L’obiettivo, per concludere con una nota ottimistica, è coltivare una speranza realistica, che si poggi sull’esplorazione delle risorse interne e sulle possibili aree di crescita.

Per la condivisione di articoli e curiosità ringrazio in particolar modo: Paola Mamone

Sonia Pestelli Margherita Ragonesi Graziano Scialò

Tutti i colleghi della Specializzazione in Psicologia della Salute

BIBLIOGRAFIA

Bertini, M. (2012). Psicologia della salute. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Canguilhem, G. (1943). Essai sur quelques problèmes concernant le normal et le pathologique.

Carli & Paniccia (2003). Analisi della domanda. Teoria e intervento in psicologia clinica. Edizione Il Mulino.

Guerra, G. (2003). Autonomy and constructivism. European Journal of School Psychology, 1(1), 97-118. Gunaratana, H. (1995). La pratica della consapevolezza: in parole semplici. Ubaldini.

Hanh, T. N., & Baglioni, L. (1992). Il miracolo della presenza mentale: un manuale di meditazione. Ubaldini.

Huber, M., Knottnerus, J. A., Green, L., van der Horst, H., Jadad, A. R., Kromhout, D., … & Schnabel, P. (2011). How should we define health?. Bmj, 343, d4163.

Kabat-Zinn, J., & Hanh, T. N. (2009). Full catastrophe living: Using the wisdom of your body and mind to face stress, pain, and illness. Delta.

World Health Organization. (2000). The world health report 2000: health systems: improving performance. World Health Organization.

SITOGRAFIA

https://www.greenme.it/vivere/salute-e-benessere/zoom-fatigue-videochiamate-stancano-cervello/ https://www.ednh.news/it/fase-2-per-il-62-degli-italiani-serve-un-supporto-psicologico/ https://www.gazzettafilosofica.net/2020-1/maggio/pande https://www.enpap.it/news/2020/05/barometro-salute-mentale/mia-e-solitudine/

https://uncaffeconigea.wixsite.com/website/post/il-quaderno-degli-appunti-un-caff%C3%A8-con-paride-braibanti https://www.ordinepsicologiveneto.it/ita/content/gli-psicologi-la-crisi-e-il-lavoro-a-gratis-chi-vorrei-essere-con-l-altro https://www.aisted.it/kathy-steel-on-covid-IPAWebinar

 

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