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Mindfulness e psicoterapia: la rivoluzione del presente

da | Mag 17, 2019 | CONVEGNO 12 OTTOBRE 2019

di Nicoletta Cinotti

“È la coscienza e non più l’inconscio il mistero chiave”. Daniel Stern

La mindfulness sta assumendo una posizione emergente nel quadro della psicoterapia contemporanea. Un fenomeno che ha pochi paragoni rispetto al passato. Molto quindi è stato scritto sull’uso dei tradizionali protocolli mindfulness: MBSR e MBCT e sul nuovo protocollo Mindfulness self compassion. In questo breve articolo di riflessione sull’uso della mindfulness in psicoterapia non partirò quindi da come possa venir usata nei protocolli ma, piuttosto, dall’analisi degli elementi innovativi, rispetto alla tradizione psicodinamica, che l’approccio mindfulness porta nel campo in continuo cambiamento della psicoterapia.

La rivoluzione del presente

L’elemento centrale di questa rivoluzione è il fatto che l’orizzonte temporale d’esperienza si sposta dall’analisi sul passato, all’esperienza del momento presente. Tutti noi conosciamo il ruolo centrale che ha avuto la ricostruzione biografica nella tradizione psicoanalitica e quanto ogni approccio si sia occupato del ruolo del trauma e dei suoi effetti nel tempo.

Questa ricostruzione storica avveniva con l’intenzione di “riparare” il danno che il passato aveva prodotto e che continuava ad essere attivo nel presente della persona. Una posizione messa in dubbio dalle recenti scoperte sul funzionamento della memoria.

Memoria e Psiche

A partire dagli anni ’90 del secolo scorso un’enorme quantità di ricerche e di dati ha permesso di comprendere meglio il funzionamento del nostro cervello e della nostra memoria. Abbiamo così scoperto che esistono due diversi magazzini di memoria: il primo – che potremmo definire quello della memoria corporea e procedurale – è attivo fin dalla nascita e rimane la forma di memorizzazione prevalente fino ai due anni e mezzo d’età. Il secondo – che è la nostra memoria autobiografica e narrativa – matura successivamente. Entrambi rimangono attivi e in relazione tra di loro per tutto il resto della nostra vita ma l’integrazione tra queste due memorie avviene a partire dall’esperienza vissuta e non da quella narrata. Ecco perché è diventato così centrale trovare strumenti esperenziali che permettano di rintracciare l’azione del passato sul presente piuttosto che la memoria dell’evento passato.

Narrare o sperimentare?

Raccontare un evento accaduto attiva risposte cerebrali che fanno parte delle nostre abilità narrative: provare un’esperienza che si basa su esperienze passate permette l’integrazione tra i due registri di memoria e, soprattutto, attiva il processo di cambiamento.

Il cambiamento quindi è fondato sull’esperienza vissuta. Ci deve essere un’esperienza reale, un evento soggettivamente vissuto, con sentimenti espressi e azioni compiute in tempo reale, nel mondo reale, con persone reali, in un momento esperito come presente, perchè si attivi un processo di cambiamento. Raccontare cosa è successo è tutt’altro che privo di valore: ci fornisce condivisione, scarica emozionale, sostegno relazionale ma non è sufficiente per dirigere le nostre risorse verso il cambiamento.

Il momento presente

Primo tra gli psicoanalisti americani a cogliere questo significativo passaggio di focus terapeutico è stato Daniel Stern nel 2005, in uno dei suoi ultimi lavori, “Il momento presente. In psicoterapia e nella vita quotidiana”. Lasciamolo parlare del momento presente:“nella convinzione che inquadrare il processo psicoterapeutico in una nuova luce e modificare le nostre concezioni sul cambiamento terapeutico e sui fattori che lo innescano trasformerà anche il nostro modo di condurre la psicoterapia, poiché diverso sarà il modo in cui osserviamo ciò che vi accade. Probabilmente anche la nostra visione dell’esperienza quotidiana ne sarà arricchita.” (Stern).

Ma cos’è il momento presente?

Il momento presente a cui Stern si riferisce, e che viene usato nell’esperienza mindfulness, è il momento di esperienza soggettiva nell’atto del suo compiersi. In questo momento sono racchiuse le possibilità di cambiamento, gli eventi nodali in grado di modificare il corso delle nostre vite; si tratta del kairos, ovvero il momento in cui qualcosa viene in essere. Stern elenca le caratteristiche centrali del presente che sono le stesse che vengono sperimentate nell’esperienza mindfulness, e sono le seguenti:

    • Il momento presente si manifesta durante un periodo ininterrotto di consapevolezza o di coscienza;
    • Il momento presente non è il resoconto verbale di un’esperienza, ma l’esperienza così come viene originariamente vissuta;
    • L’esperienza del momento presente consiste in tutto ciò che è consapevole mentre il momento viene vissuto;
    • I momenti presenti sono di breve durata;
    • Il momento presente assolve una funzione psicologica;
    • Il momento presente è un evento olistico;
    • Il momento presente è un fenomeno temporale dinamico;
    • Il momento presente, nel suo svolgersi, è in parte imprevedibile;
    • Il momento presente implica un certo senso di sé;
    • Il Sé che fa esperienza assume una certa posizione rispetto al momento presente;
    • Non tutti i momenti presenti possiedono la stessa importanza.

Passato e presente si danno la mano

Ogni momento presente mette in scena una storia vissuta, formata da numerose brevi esperienze che convergono nel presente soggettivo. Questi particolari momenti riescono a cogliere in parte lo stile di personalità, le nostre preoccupazioni o i nostri conflitti, costituendo dei casi particolari di schemi di risposta passati e futuri.

In questo modo possiamo contestualizzare i ricordi, selezionando le parti del passato da attivare e riportare al presente, stabilendo in che modo dovranno essere assemblate per adattarsi meglio alla situazione presente e manifestare il loro effetto. Senza una modifica del passato funzionale, di questi schemi abituali di risposta, non vi può essere alcun cambiamento. In psicoterapia avviene così un importante passaggio di prospettiva: “È la COSCIENZA, non più l’inconscio, il MISTERO CHIAVE.”(Stern).

Il presente e il ruolo chiave della coscienza

L’attenzione al momento presente sposta il focus dalle dinamiche inconsce del paziente a ciò che rientra nel suo campo di esperienza consapevole. Questo spostamento d’attenzione è estremamente rilevante perché presuppone l’uso di strumenti clinici diversi.

Intanto presuppone una sospensione dell’interpretazione – che richiede per il clinico la dimestichezza e l’uso di uno schema di lettura delle dinamiche inconsce – alla costruzione di esperienze che aumentino l’area della consapevolezza di sé.

Comporta anche un significativo spostamento dell’attenzione dai contenuti che il paziente porta al modo con cui affronta le difficoltà quotidiane e quindi a quelli che sono gli schemi abituali di risposta nelle aree corporea, emotiva e mentale. Due spostamenti che sottolineano per l’appunto, il ruolo centrale della consapevolezza come chiave d’accesso al funzionamento reale e quotidiano della persona.

Cos’è la consapevolezza

Nel linguaggio comune, si intende per consapevolezza (awareness in inglese ) la percezione che si ha di un evento e la reazione corporea, emotiva e cognitiva, al verificarsi di questa condizione.  Non implica necessariamente la comprensione di ciò che accade – e anzi si potrebbe definire una forma di conoscenza non narrativa – ma presuppone la capacità di prestare attenzione alla propria esperienza sensoriale e la capacità di descrivere e nominare gli elementi che compongono l’esperienza stessa.

Questa attenzione alla consapevolezza comporta due aspetti essenziali: il primo è che la consapevolezza può essere parziale e soggetta a restrizioni che sono fortemente legate alla qualità del momento presente in cui avviene. Il secondo è che la consapevolezza rende l’esperienza prima di tutto un evento corporeo e rende il corpo la base e l’ancora dalla quale partire per indagare gli aspetti emotivi e il funzionamento della mente.

La limitazione della consapevolezza

La consapevolezza è un evento dinamico soggetto a fluttuazioni e oscillazioni che ampliano o riducono il campo d’esperienza. Sappiamo che, in condizioni di stress, la nostra consapevolezza diventa selettiva e, in qualche modo modificata, mentre, in condizioni di benessere, si amplia e si diversifica. Sappiamo anche che, per molti compiti della nostra vita quotidiana, la nostra consapevolezza subisce un tipo particolare di restrizione che ci fa funzionare secondo schemi abituali di risposta.

Cosa limita la consapevolezza corporea

La consapevolezza corporea è alla base del processo stesso di consapevolezza e la sua ampiezza è radicata nella qualità dell’esperienza corporea. Contrazioni muscolari croniche, limitazioni nel movimento, o l’inibizione dall’espressione emotiva, riducono la base corporea della consapevolezza fino a produrre stati di parziale anestesia corporea. L’esperienza corporea non percepita è comunque registrata a livello del sistema nervoso centrale e va a costituire la base dei segnali di risposta su cui poggia la nostra esperienza e su cui poggiano i nostri processi di attribuzione del significato.

Qualsiasi emozione non possa essere espressa rappresenta inoltre una fonte di tensione per i muscoli e una potenziale riduzione di consapevolezza. La correlazione tra tensione muscolare e inibizione è talmente stretta che è possibile valutare quali sentimenti o impulsi sono inibiti in una persona studiando le sue tensioni muscolari. Le tensioni che nascono dall’inibizione emotiva sono tensioni che si sviluppano lentamente, attraverso il ripetersi di esperienze frustranti e, spesso insidiosamente, diminuiscono la nostra consapevolezza.

Sappiamo inoltre che la nostra esperienza emotiva può essere consapevole solo quando rientra dentro la nostra finestra di tolleranza.

La finestra di tolleranza

La finestra di tolleranza è un concetto sviluppato da Daniel Siegel nel 1999. Siegel la definisce come quel range all’interno del quale le diverse intensità di attivazione emotiva e fisica possono essere integrate senza interrompere la funzionalità del nostro sistema (Siegel, 1999,253 ed. americana).

Quando i pazienti sono all’interno della loro finestra di tolleranza le informazioni che provengono dal mondo interno e dall’ambiente esterno possono essere integrate, in un fluire ininterrotto di informazioni percettive che vengono assimilate e associate ai dati emotivi e cognitivi, e rimangono nel campo della consapevolezza fino a costruire un significato alle esperienze. Se usciamo dal nostro range di tolleranza entriamo in uno stato di iperattivazione o di ipoattivazione che produce una frammentazione o riduzione significativa dell’esperienza percettiva. Questa condizione, tipica delle situazioni traumatiche, è in realtà più frequente, a livello subclinico, di quanto siamo abituati a pensare e produce una riduzione, a volte sistematica e quindi significativa, della consapevolezza.

La limitazione che nasce dal giudizio

Esiste un tipo particolare di limitazione della consapevolezza che fa da cerniera con quelle che sono le limitazioni legate agli schemi abituali di risposta ed è quella che nasce dalla valutazione delle esperienze percettive in tre categorie di base: positive, negative e neutre. Quando giudichiamo un’esperienza negativamente tendiamo ad attivare dei meccanismi difensivi che cercano di eliminare il disturbo dal campo della coscienza. Ma la prima valutazione percettiva può essere un trabocchetto e, inoltre, abbiamo bisogno di affrontare, anziché evitare o nascondere, gli elementi che percepiamo negativamente. Se aumentiamo la consapevolezza dei nostri schemi di risposta possiamo rallentare il processo di giudizio dell’esperienza e renderlo un giudizio a posteriori anziché un giudizio a priori.

La limitazione che nasce dagli schemi abituali di risposta

Tutti noi funzioniamo anche attraverso modelli automatici di risposta. La presenza di queste risposte automatiche è funzionale perché ci permette di agire senza dover continuamente re-imparare come farlo. La base di queste modalità automatiche è collegata alla nostra memoria procedurale che attiva il modello di risposta. Non abbiamo bisogno, ogni volta, di ricordarci la nostra scuola guida: entriamo in macchina, giriamo la chiave e partiamo. Il nostro corpo sa come farlo e la nostra mente sa dove andare.

Il problema è che gli schemi abituali di risposta tendono a rimanere costanti e a ripetersi sempre uguali anche di fronte a condizioni diverse. Insomma abbiamo un problema di aggiornamento, come scopriamo, a volte, cambiando macchina o sistema operativo del computer! Questo è dovuto al nostro bisogno di coerenza: apprezziamo la ripetizione perché ci permette di sperimentare un senso di continuità con il passato. Tutto bene tranne che questi schemi non vengono usati solo per le azioni quotidiane ma anche per le risposte su base difensiva, nate per proteggerci adeguatamente da un pericolo vissuto e non più aggiornate. E’ qui che l’attenzione all’esperienza consapevole si intreccia con l’importanza del momento presente. In questo modo possiamo fare un aggiornamento delle nostre modalità di risposta e domandarci se quel modello di risposta è ancora funzionale o se necessita di una revisione perché le condizioni attuali sono modificate. La necessità di aggiornamento comporta una valutazione attenta delle nuove e diverse condizioni attuali e una sospensione da quel giudizio immediato che tendiamo a fare e che diventa l’interruttore dello schema abituale di risposta.

Passato e presente intrecciati

E’ nelle nostre modalità abituali di risposta che avviene lo “scambio” tra passato e presente. Ogni momento presente mette in scena una storia vissuta, formata da numerose brevi esperienze che convergono nel presente soggettivo. Questi particolari momenti riescono a cogliere in parte lo stile, la personalità, le preoccupazioni o i conflitti del soggetto, costituendo dei casi particolari di pattern passati e futuri.

Permette di contestualizzare i ricordi, selezionando le parti del passato da attivare e riportare al presente, stabilendo in che modo dovranno essere assemblate per adattarsi meglio alla situazione presente e manifestare il loro effetto.

Il momento presente rivela così un mondo in un granello di sabbia” (Stern 2005), sufficientemente degno, da solo, di attenzione clinica. Più a lungo il terapeuta riesce a soffermarsi su di esso e ad esplorarlo, senza ricorrere ad un uso frenetico dell’interpretazione, maggiori saranno i percorsi clinici che si riveleranno.

Il momento presente è un processo implicito, e tuttavia, perché un’esperienza possa definirsi come momento presente, deve entrare a far parte della consapevolezza o di qualche forma di coscienza.” (Stern)

Tra consapevolezza e coscienza

La consapevolezza diventa quindi un elemento clinico importante perché permette l’accesso alle nostre risorse e ai nostri processi di costruzione di significato. Implica il focalizzare l’attenzione su un oggetto d’esperienza che diventa così un elemento cosciente che può essere ricordato e che diventa un atto riflessivo. Quando ci troviamo nella vividezza del momento presente possiamo cogliere la qualità dei nostri segnali di risposta, aprendoci a modalità nuove, possiamo decentrarci e disidentificarci dai processi ruminativi di pensiero e dai vecchi meccanismi difensivi. Aprirci a nuove modalità più adatte alla situazione che stiamo vivendo, andando a scoprire quel mistero chiave che è come mai, proprio oggi, proprio ora, stiamo rispondendo così e chiedendoci se è proprio quella la risposta più adeguata alle nostre esigenze attuali.

La consapevolezza di ognuno è uno spazio davvero ampio nel quale risiedere; non c’è momento in cui non sia un’alleata, un’amica, un santuario, un rifugio. E non è mai assente, solo che a volta è velata. […] Se fai appello alla consapevolezza quando sei immerso nei dubbi, nell’infelicità, nella confusione, nell’ansia, nel dolore, questi stati mentali non sono più «tuoi»: sono solo condizioni meteorologiche del tuo corpo e della tua mente. Quella dimensione di «te» che sa già che dubiti, che sei infelice, che sei confuso, ansioso, risentito, che soffri, non è nessuna di queste cose e sta già bene, è già nella pienezza dell’essere. Non sarà mai altro da ciò che è, dalla persona che sei in realtà, a livello più essenziale. E così, se ricordi la consapevolezza non giudicante nel momento presente come una possibilità e stai imparando a fidartene e vai a trovarla di tanto in tanto, a maggior ragione se vi prendi residenza per tempi più lunghi, allora non solo «stai facendo bene», ma in realtà non c’è nessun «fare» e non c’è mai stato, né c’è qualcuno che lo faccia. Non si tratta, non si è mai trattato di «fare»; si tratta di essere: essere il sapere, compreso il sapere di non sapere. Che differenza c’è? Fermiamoci un attimo a meditare su questo fatto” (Kabat Zinn, 2005, p. 165, pp. 282-284).

© Nicoletta Cinotti 2019 

Interessere Mindfulness in Azione partecipa e sostiene questa iniziativa di formazione promossa da CMF – Counseling Mediazione Familiare. A giugno un workshop di due giorni sulla Mindfulness in Rel-Azione

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