Prendersi Cura e Presenza

da | Giu 19, 2019 | BLOG, CONVEGNO 12 OTTOBRE 2019, MINDFULNESS

a cura e con la cura di Simona Moltoni, Specialista in Psicoterapia orientata alla Mindfulness

E’ possibile e necessaria una rivoluzione gentile e nello stesso tempo radicale: prendersi cura. Necessaria, perché la distrazione è ormai diventata uno stile di vita e al contrario, prendersi cura della propria mente-cuore implica invece l’arte e soprattutto l’addestramento della Presenza.

Il mio particolare osservatorio, quello della psicoterapia, è una delle possibili strade per prendersi cura. Come terapeuta ricevo una parte dei miei pazienti nel centro di Milano, in uno studiolo ritagliato ad un quinto piano senza ascensore. Una vera sfida per chiunque raggiungerlo! Una cara amica in visita a Milano, dopo averci soggiornato per una notte, l’ha definito un “piccolo eremo in città”, notando che lì i rumori della strada salgono, ma arrivano molto più lontani ed attutiti. E’ certo che, dopo la fatica dell’ascesa, il visitatore che decide di avventurarsi nell’impresa è ripagato da una particolare qualità del silenzio e della luce che regnano nella stanza, oltre che dalla possibilità di vedere la città dall’alto. A volte verso sera, sullo sfondo di tramonti aranciati e violacei, non possono non balzare agli occhi del cuore i tetti rossi di Milano, e in lontananza le guglie del Duomo che a quell’ora luccicano di una particolare bellezza. Qualcuno, nella salita, nota solo la fatica; qualcuno, nel varcare la porta dello studio, rimane particolarmente impressionato dalla vista e commenta che la fatica è stata ben riposta. Mi piace pensare che la scelta di familiarizzarci con la consapevolezza abbia un po’ a che fare con la fatica di salire quella scalinata che ogni nuovo addestramento ci richiede. Quando riusciamo a ritagliarci un piccolo “eremo interiore” nella nostra mente-cuore che ci permette di vedere le cose dall’alto, ecco emergere all’orizzonte una particolare qualità di silenzio, spaziosità e bellezza di cui non conoscevamo l’esistenza, prima di quella ascesa .

La pratica di affondare completamente i piedi per terra e nel momento presente è una sfida reale, perché mai come in questo tempo siamo continuamente immersi nella nostra quotidianità all’interno di processi di “accelerazione” che sabotano una delle qualità fondamentali della consapevolezza: lo “spazio”. E’ proprio la possibilità di creare “spazio” tra esperienza e reazione, infatti, che ci riconsegna la libertà e il potere immenso di scegliere anziché di reagire. Scrive Jean Paul Sartre: “la libertà è ciò che fai con quello che ti è stato fatto”. Ma, certamente, non c’è mai libertà sino a quando a guidarci sono la nostra mente reattiva e la velocità dei nostri automatismi. Spesso all’interno del “setting” terapeutico, appena lo sento possibile, inizio la seduta con qualche minuto di silenzio invitando la persona a portare consapevolezza e ad “arrivare” nel suo corpo e nella sua esperienza. Siamo cosi disabituati a farlo che anche quella piccola manciata di minuti può essere preziosa per onorare la nostra Presenza. Per tornare e ritornare ancora dentro di noi. Scrive Etty Hillesum: “Mi capita di dovermi inginocchiare di colpo davanti al mio letto persino in una fredda notte d’inverno. Ascoltarsi dentro. Non lasciarsi guidare da ciò che si avvicina da fuori, ma da ciò che si innalza da dentro”. Prendersi cura ha certamente a che fare con il riavvicinarsi a se stessi. Per questo, nella Mindfulness, si sottolinea il ruolo centrale del corpo.

Giovanni, un giovane studente siciliano di Economia e Commercio, mi rimanda di essere rimasto toccato dal mio invito ad “arrivare” con la consapevolezza sentita nella sua sedia, e a prendere pienamente il suo spazio e il suo posto. Più di tutto lo colpisce il mio invito a notare la risorsa del senso della terra, e la richiesta di sentire il modo in cui la terra stessa lo riceve e lo sostiene. Ben presto Giovanni coglie la possibilità di sentirsi radicato non solo nella stanza della terapia, ma anche nel bel mezzo delle difficoltà del quotidiano o dell’ansia che gli si solleva ogni volta che deve affrontare un esame, riagganciando un materiale più antico di inadeguatezza..

Con i pazienti, nel viaggio condiviso della psicoterapia esploriamo insieme incontro dopo incontro che ritornare nella “tana” del corpo e nel momento presente, attraverso il respiro, è una grande ancora per sciogliere i nostri condizionamenti e le nostre paure.

Ma è importante sottolineare che a scioglierli non è il terapeuta, né il paziente, ma la consapevolezza. Si dice che la consapevolezza sentita sia trasformativa. L’idea è che tutto quello che è separato e non sentito resta uguale, ma quando viene sentito, si trasforma, perché onora la nostra intrinseca energia come fonte di saggezza. Ben presto, infatti, attraverso la pratica della presenza mentale, inizia anche a ritagliarsi un piccolo spazio nella fitta foresta della nostra mente-cuore, quel piccolo eremo interiore in cui possiamo ritornare, in cui possiamo fare un passo indietro e imparare ad osservare senza giudizio tutti i nostri stati mentali transitori, per poter vedere meglio le risorse a nostra disposizione, utili a fronteggiare le sfide che ognuno di noi incontra. Così, anziché lasciarci afferrare e a tratti letteralmente sequestrare dalla nostra mente pensante, possiamo scegliere coraggiosamente di ritornare al momento presente e all’osservatore, che nota con una attenzione non giudicante la transitorietà di tutti i nostri processi emozionali. Una mia paziente, Lucia, mi racconta un giorno quanto sia importante per lei, nella complessità emotiva di questo momento della sua vita (la dolorosa separazione coniugale dal marito, la gestione di un bambino piccolo, la malattia del padre e il suo lavoro manageriale fortemente richiedente), il ricordarsi ed ancorarsi a quella quiete e a quel silenzio che trova nella stanza della terapia, per poter fronteggiare nel modo migliore e con chiarezza sufficiente le cose, cosi come sono, senza esserne sopraffatta. Le rispondo che quello spazio di quiete e silenzio la “abita” e che questa stanza/eremo è dentro di lei, ma soprattutto che la potrà ritrovare tutte le volte che vorrà tornando al suo corpo e all’ancora del respiro. Lucia abbassa gli occhi dolcemente e sorride come ad annuire.

Ad ogni incontro, le lacrime, i sorrisi e i volti dei miei pazienti mi insegnano e testimoniano attraverso la loro ricerca, per quanto a volte dolorosa, che è possibile prendersi cura e trasformare la propria sofferenza. Al di là della particolare storia di ognuno ogni volta, come terapeuta, accolgo la sfida che inconsapevolmente ogni paziente mi lancia. Quella di sintonizzarmi e stabilizzarmi in uno stato di Presenza e ricettività orientato al mondo dell’altro, sostenendo la fiducia che per una sorta di risonanza, anche l’Altro, insieme a me, possa imparare ed allenare l’abilità ad essere più presente a se stesso. E la Presenza è sempre possibile anche quando è chiamata a camminare a fianco dell’impotenza.

Roberto un giovane paziente che è alla quinta recidiva di tumore, ha appena ritirato il referto e vuole condividere con me il dolore per la progressione della malattia. In quella particolare seduta la sua voce spezzata è un pugno nello stomaco, dobbiamo confrontarci con la ferocia e il mistero del suo destino. Ma a fianco all’impotenza sento anche tutta la potenza della Co-Presenza e del camminare insieme. Lo ascolto come in una sorta di stato meditativo. Non è importante dire qualcosa. E’ importante offrirgli la mia Presenza e fino all’ultimo respiro attraversare il mistero del suo destino, sostenendo insieme qualunque cosa sia importante in questo preciso momento della sua vita, o sia una risorsa per lui.

Come negli incontri importanti della nostra vita, così nella stanza della terapia, è anche attraverso questa co-presenza che abbiamo la possibilità di ritornare in con-tatto con noi stessi, con la nostra autenticità e con ciò che è veramente importanteper noi.
Per Anna è importante ricordare, in un momento di particolare confusione e disorientamento, quanto la facesse sentire al sicuro camminare da bambina con le mani tra le mani di suo nonno. E’ una vera risorsa, per lei, tornare ogni volta a quella sensazione sentita di amore incondizionato e di rispetto che la Presenza del nonno le faceva sperimentare.

Ognuno di noi, se chiude gli occhi per qualche istante, può riconnettersi a quelle Presenze incarnate della nostra storia che ci hanno fatto sentire “visti”, sentiti e riconosciuti. Quelle Presenze più profonde, magari da noi sottovalutate o nascoste negli abissi della nostra memoria o che a volte riscopriamo solo nell’Assenza (come per Giovanna l’amore di sua madre che ha potuto sentire così profondamente solo dopo la sua morte) ma che comunque ci albergano e ci hanno fatto sperimentare la sensazione sentita dell’essere stati accolti ed accettati in modo incondizionato. E quando fatichiamo a rintracciare o a riconoscere questa particolare qualità di attenzione, la psicoterapia è una buona opportunità per riparare o fare risuonare dentro di noi tutte le risorse della nostra storia.

Spicchi di libertà iniziano a scorgersi quando iniziamo, da una parte ad orientarci verso ciò che è davvero importante per noi, dall’altra ad appoggiarci, attraverso il nostro eremo interiore, a quel punto di immobilità silenziosa che ci abita, intatto, libero e incondizionato. E’ da lì che incominciamo a notare il sorgere e lo svanire di pensieri, emozioni e sensazioni, allentando e sospendendo la costrizione degli automatismi che ci spingono, senza possibilità di scelta, ad identificarci o a cercare pezzi della nostra identità dentro la densità del nostro “materiale” emotivo.

Più emerge l’osservatore e lo “spazio”, e più iniziamo a comprendere che noi non siamo le nostre densità e i nostri stati emotivi transitori ma siamo, invece, la Presenza che osserva, la Presenza vasta e spaziosa. Ed è davvero toccante e liberatorio scoprirlo!

Da quello spazio poi riemerge la vita, che pulsa e fluisce al di là delle nostre personali preferenze e da cui possiamo farci “toccare” quando siamo sufficientemente aperti. Da quello “spazio” riemerge quella chiarezza che ci consente di vedere ed annusare con la mente del principiante, nonostante le ferite e le cadute, nonostante la fiducia spezzata e il dolore che quando è sgravato dalla sofferenza auto-inflitta dalla nostra mente pensante torna a ricollocarsi, e a volte, può addirittura diventare apprendimento e dono. E’ in quel momento che il paziente si può rendere conto che il suo dolore e la sua ricerca personale non sono stati vani, poiché proprio quello è stato il suo percorso sacro per riconnettersi al suo “Santo Graal” della consapevolezza e, come dice FranklynSills in “Essere e divenire”, alla sua “salute intrinseca”, cioè alla sua natura più profonda e incondizionata. Certi incontri ci insegnano che è possibile tornare ad erotizzare la vita nonostante i traumi e le ferite che nel frattempo si sono fatte feritoie perché da lì è passata la luce della consapevolezza e della compassione.

Ed è davvero cruciale, nel processo della nostra trasformazione personale, l’addestramento alla compassione. Se la consapevolezza ha a che fare con il “riconoscere”, anziché con il combattere, notando e riconoscendo quello che è, la compassione ha a che fare con il rivolgere alla nostra esperienza, qualunque essa sia, un senso di gentilezza ed accoglienza incondizionata. Per molti di noi, a volte, è una tale sfida rivolgere un po’ di quella amorevole gentilezza alle nostre difficoltà, ai nostri limiti, ai nostri bisogni o alla nostra vulnerabilità, che davvero serve un addestramento per re-imparare a farlo. Un giorno Paolo mi rimanda quanto è stato importante per lui scoprire che poteva anche accertarsi della sua comodità, ogni volta che prendeva spazio nella poltrona della terapia, anziché stare in uno stato di allarme e vigilanza proprio come nelle sue riunioni e che d’ora in poi avrebbe potuto farlo, a maggior ragione, nelle sue riunioni!

E’ attraverso l’auto-compassione che Chiara, avvocato affermato, primogenita di quattro fratelli, può finalmente darsi il permesso di sentire, per la prima volta, dopo la sua separazione coniugale, non solo di potersi prendere cura della vulnerabilità della sua famiglia di origine, di cui si era sempre fatta carico anche economicamente, ma di poter accogliere finalmente anche la propria. Per qualcuno di noi infine l’autocompassione ha anche a che fare con l’imparare a proteggerci e a sentire quando siamo feriti. Una parte importante del mio lavoro di psicoterapeuta consiste proprio nel sostenere una mente compassionevole, aiutando il paziente a riconoscere quando scivola in una modalità mentale di minaccia, di critica e di auto-giudizio. Con la richiesta di prestare un’attenzione non giudicante e, se possibile, gentile alle sue sensazioni corporee, pensieri ed impulsi d’azione, aiutandolo ad orientare ogni volta la sua attenzione alla mente compassionevole. Mi piace pensare che nella stanza della terapia, quando impariamo a lasciare andare il giudizio e la condanna, le nostre paure e la vergogna, i nostri sensi di inadeguatezza o semplicemente l’attaccamento ad un’idea di come le cose dovrebbero essere, ci riapriamo a ricevere la vita e le suepossibilità. Scrive Alan Watts: “L’arte di vivere non consiste né nel lasciarsi portare dalla corrente con disinteresse, né nell’aggrapparsi alle cose, pieni di paure. Consiste nell’essere sensibili ad ogni istante, considerandolo del tutto nuovo e unico; consiste nell’avere una mente aperta e pienamente ricettiva”. Quando siamo sufficientemente addestrati ad incontrare noi stessi, nella Presenza e attraverso la compassione e la spaziosità, ecco che la nostra mente aperta e ricettiva può riemergere insieme alla consapevolezza delle risorse interne, e di tutte le possibilità del momento presente, che, quando siamo sopraffatti, fatichiamo a vedere e a cogliere.

La posta in gioco non potrebbe essere più alta. Attraverso un addestramento, pian piano, poter riscoprire e accedere di nuovo ad una felicità che non dipende da cause esterne ma dalla nostra consapevolezza di esistere, e dalla nostra Presenza piena all’esistenza. La coltivazione della consapevolezza, della compassione e delle risorse può realmente dissolvere e spezzare le catene che ci costringono alla dolorosa percezione erronea della solitudine e della separazione, aprendo e spalancando la porta alla nostra umanità condivisa e al senso di interconnessione. Poiché l’Altro è Me.

Interessere Mindfulness in Azione partecipa e sostiene questa iniziativa di formazione promossa da CMF – Counseling Mediazione Familiare. A giugno un workshop di due giorni sulla Mindfulness in Rel-Azione

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